Aprire gli occhi alla vita, quando si nasce. Aprire gli occhi alla vita eterna, quando si muore. In mezzo c’è l’esistenza di una persona che, come un arco temporale, inizia e finisce. Il contesto sociale e antropologico del tempo attuale è diventato sempre più possessivo rispetto alla vita, soprattutto alla vita nel suo ultimo miglio, quello terminale. Possessivo inteso come un non permettere ad alcuno di mettere le mani sulla persona che sta morendo, lasciando a lei ogni decisione. Sta di fatto, però, che nelle mani di qualcun altro ci siamo sempre: dai primi vagiti, agli ultimi aliti di respiro, prima di congedarsi per sempre.
L’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI ha pubblicato un prezioso testo (con Editoriale Romani) per non perdere e disperdere la necessità di morire umanamente, coniugata a quella del vivere con umanità. Umanità è uno stile di vita da ritornare ad esercitare nelle relazioni quotidiane e in ogni ambiente. Oggi, morire in casa fa paura perché non si chiama più la morte sorella (così come Francesco d’Assisi c’ha indicato). I miei genitori sono morti entrambi in casa nel loro letto matrimoniale e noi tre figli, al momento del congedo, accanto e attorno per ricevere il bene anche da quel distacco.
Un plauso, dunque, a don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della salute che ha elaborato questo testo (discusso ovviamente in Commissione episcopale di settore, come avviene di prassi per ogni ufficio specifico). Quattro capitoli, articolati in paragrafi, che attraversano 1. il senso della vita ivi connessa alla morte, 2. le implicazioni etiche-giuridiche, 3. le questioni scientifiche-cliniche, 4. l’accompagnamento spirituale a più volti del prendersi cura.
Suggerisco questo testo ai genitori, agli educatori degli Oratori, della pastorale giovanile, familiare, ai docenti, perché ri-prendere a educare, ovvero – al saper stare oggi al mondo con tutto se stessi – passa anche dall’affrontare il patire, il soffrire, il morire. Non c’è un App che fa questo servizio. In primis ci sono i genitori, gli educatori, i docenti a esercitarlo.
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